Allego il testo dell’Omelia pronunciata dall’Arcivescovo in occasione della Passione del Signore. Ricordo che domani, Sabato Santo, la Cattedrale ospiterà alle 8.00 le Lodi Mattutine e l’Ufficio delle Letture mentre alle 22.30 sarà celebrata la solenne Veglia pasquale. Domenica, Pasqua di Risurrezione, alle 11.00 l’Arcivescovo presiederà il solenne Pontificale (alle ore 9.00 celebrerà l’Eucaristia all’interno del carcere dell’Ucciardone).
Luigi Perollo
Venerdì Santo, Passione del Signore
15 aprile 2020
Omelia
«Dopo questi fatti, Giuseppe d’Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù» (Gv 19,28).
Epifanio di Cipro, nel Discorso per il seppellimento del divino corpo del Signore e nostro Salvatore Gesù Cristo, mette sulle labbra di Giuseppe D’Arimatea queste parole rivolte a Pilato: «“Governatore, ti scongiuro per un morto in croce, senza dimora, perché non gli è accanto in terra un padre, un amico, un discepolo, un parente che possa seppellirlo. Egli infatti è Figlio unigenito dell’unico Padre, Dio del mondo, e non c’è altri che lui!”. Questo e così disse Giuseppe a Pilato, e il governatore ordinò che gli fosse dato il santissimo corpo di Gesù. Egli andò al luogo detto Golgothà, depose dalla croce il Dio incarnato, stese a terra il Dio incarnato, uomo nudo ma non spoglio della divinità. Contempliamo steso giù chi tutto ha sospeso in alto. Per un po’ è senza respiro la Vita e il respiro di tutti. Ha gli occhi chiusi colui che ha creato i Cherubini dai molti occhi. È steso dormiente colui che è la risurrezione di tutti. Nella carne è morto Dio, che fa risuscitare i morti. Nella carne per un po’ tace il tuono della Parola di Dio. È sollevato a braccia chi tiene in pugno la terra. Ma tu, Giuseppe, che hai chiesto e ottenuto, ma tu lo sai chi hai preso? Quando sei andato presso la croce e hai deposto Gesù, hai capito di chi ti caricavi? Se hai capito chi tenevi, allora sei diventato ricco».
Noi stasera partecipando a questa celebrazione della Passione del Signore non siamo venuti a vedere uno spettacolo ma a contemplare e a «prendere il Corpo di Gesù» morto, che pende morto dalla Croce del Golgota. Come le folle abbiamo trovato la forza di batterci con autentica contrizione il petto (cfr Lc 23,48) e come Giuseppe abbiamo riconosciuto il Corpo umiliato e trafitto del Signore Gesù. E anche noi desideriamo staccare dalla Croce il Corpo esangue di Gesù e accoglierlo. Vogliamo essere fecondati e arricchiti dalla Sua morte, essere rigenerati da Lui, Amore crocifisso, morto e sepolto per noi. Per noi, che stasera ci riscopriamo “Amati”, Amati fino a tanto. Dirsi cristiano significa riconoscersi ‘amato’. Questo è il nome di ogni discepolo secondo il IV Vangelo: «il discepolo che egli ama» (Gv 19,26).
Ma attenzione: «prendere il Corpo di Gesù» non ammette spiritualizzazioni alienanti o un mero ‘par-time’ di coinvolgimento emotivo. Come Giuseppe d’Arimatea riconosciamo e accogliamo anche noi il Regno di Dio nel Crocifisso del Golgota (cfr Lc 23,50-52)? Abbiamo consapevolezza di chi ci carichiamo?
Giuseppe d’Arimatea riconosce il segno del Regno nel Giusto scartato, in Gesù a cui, fu inflitta, come al Servo del Signore annunziato da Isaia, una ingiusta condanna: «Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo» (Is 53,8). In quel giusto che non risponde alla violenza con la violenza. Nel mite Gesù che «Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca» (Is 53,7), che affida la sua difesa a Dio, rimanendo giusto anche quando nel suo corpo porta i segni dell’ingiustizia degli empi. Che va incontro alla morte con una libertà assoluta.
Alla luce del Giusto che muore sul Golgota, quanti vivono portando i segni dell’ingiustizia nel loro corpo sono ‘rilevatori’ della presenza del Regno di Dio. Quel Regno che anche noi dobbiamo ricercare, riconoscere e accogliere si concentra soprattutto nelle vittime della storia. Sono loro, gli scarti della storia, che polarizzano la presenza e l’azione di Dio. Gesù si identifica in essi e in essi vuole essere riconosciuto e contemplato: «L’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Signore, tu sei presente – e noi vogliamo riconoscerti – nei giusti condannati, colpiti ed eliminati dai poteri forti e subdoli; nei ‘senza voce’ che emarginano e crocifiggiamo quotidianamente; nei bambini e nelle donne devastati nel corpo e nell’anima dalla brama di crudeli abusatori che, incuranti e avidi, adescano attraverso i social; nei volti di chi, nelle nostre città, tenta ogni giorno di sbarcare il lunario schiacciato da una precarietà permanente; nei lavoratori sottopagati; nelle donne della tratta sfruttate e umiliate per soddisfare uomini istintivi e bramosi; nei nostri anziani soli e abbandonati e nei giovani depistati e svuotati da chi lucra smerciando devastanti droghe; nei migranti economici che fuggono dal Sud del mondo a motivo della povertà, dei cambiamenti climatici e delle guerre che noi occidentali provochiamo posseduti dal demone del massimo profitto economico; in quanti vengono detenuti nei lager libici o muoiono annegati nel Mediterraneo; nelle vittime di questa scandalosa e assurda guerra deflagrata in Ucraina e delle tante altre guerre dimenticate volute e innescate dai potenti della terra che si contendono il predominio del mondo.
Adorare la Croce significa diventare ricchi degli scarti umani. Riconoscere e arricchirsi di ogni corpo flagellato e crocifisso nudo che incrociamo nei tanti Golgota che anche noi cristiani, purtroppo, abbiamo contribuito ad edificare in questo mondo.
Convertici a Te, Signore Gesù, e continua a spingere fino al massimo il tuo amore sponsale e a rendere fecondo il talamo nuziale della tua Croce. Continua a dare alla Madre-Chiesa una discendenza numerosa: «Donna, ecco tuo Figlio» (Gv19,26). Perché sia Madre prolifica di veri contemplativi, adoratori di Dio «in spirito e verità» (Gv 4,24), capaci di stare presso le croci di questo nostro tempo, come Maria la Madre di Gesù, Maria di Magdala, Maria di Clèofa e il Discepolo amato, e abili a staccarvi i crocifissi, come Giuseppe e Nicodemo, per essere Chiesa ricca solamente degli scarti umani, dei prediletti di Dio. Evangelizzata dai poveri e portatrice dell’Evangelo ai poveri.