8 dicembre 2024 CS --109/24

Solennità dell’Immacolata Concezione. Discorso alla Città dell’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice durante la Solenne Processione

Dopo i Solenni Vespri al termine dei quali si è svolto il tradizionale atto di affidamento della città di Palermo all’Immacolata con l’offerta degli scudi da parte del sindaco della città di Palermo Roberto Lagalla, e dopo il Pontificale presieduto questa mattina nella Chiesa Cattedrale, l’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice ha rivolto il tradizionale Discorso alla Città nel corso della Solenne Processione del simulacro argenteo dell’Immacolata. La processione è partita alle 16.00 dalla Chiesa Cattedrale e, dopo il momento di sosta a piazza San Domenico (Discorso alla Città e omaggio floreale del Comando dei Vigili del Fuoco), si è conclusa nella Basilica di San Francesco d’Assisi.

 

SOLENNITÀ DELL’ IMMACOLATA CONCEZIONE

8 dicembre 2024

Piazza S. Domenico

 

Discorso dell’Arcivescovo alla Città di Palermo

 

Un vescovo nella Città degli uomini non è l’uomo del potere religioso, è semplicemente l’araldo dell’Evangelo, colui che conferma i credenti in Cristo nella fede, ma  che condivide anche l’Evangelo con tutta la Città sapendo che “la bella notizia” di Cristo – insieme alle altre fedi e agli uomini e alle donne di altre visioni, intellettualmente onesti e di buona volontà –, può non poco contribuire a umanizzarla, a riscattarla dal male, a renderla una casa comune accogliente e fraterna,  pacifica e solidale, giusta e inclusiva.

Per questo prendo la parola, anche alla presenza dei servitori delle Istituzioni civili e militari che saluto e ringrazio per la loro presenza. Prendo la parola non per spirito di conquista o per mero protagonismo populista. Solo per amore della Città che abito e che mi sforzo di servire anche attraverso il mio ministero episcopale.

Incontrando le comunità parrocchiali, o lungo le strade dei quartieri della città, entrando nelle case, spesso mi sento dire: “Padre, ma cosa sta succedendo in questo nostro mondo? Non c’è più cuore, non c’è più amore!”. La percezione diffusa tra la gente è che non c’è più il senso comunitario della vita, tutti urlano la loro indifferenza, strepitano il loro esclusivo interesse, sguaiati e sospettosi, sono tutti uno contro l’altro. E cresce un incontenibile senso di paura e di incertezza che semina depressione e disperazione. Un senso di deriva che risucchia e spegne la speranza.

Papa Francesco, nella sua ultima enciclica Dilexit nos (Ci ha amati, 24 Ottobre 2024), ha voluto soffermarsi sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo e, riferendosi a Maria, dice che «guardava con il cuore. Ella sapeva dialogare con le esperienze custodite meditandole nel suo cuore […].  Nel Vangelo, la migliore espressione di ciò che pensa un cuore sono i due passi di San Luca che ci dicono che Maria “custodiva (synetérei) tutte queste cose, meditandole (symbállousa) nel suo cuore” (Lc 2,19; cfr 2,51). Il verbo symballein (da cui “simbolo”) significa ponderare, riunire due cose nella mente ed esaminare sé stessi, riflettere, dialogare con sé stessi» (n. 19).

Parlando del cuore, il Papa continua: «Tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche. In definitiva, se in esso regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato» (Dilexit nos, 21).

Ma cuore, amore, speranza, vita, pace, ormai sono termini in disuso, con il sopraggiungere della “cultura dell’uomo senza vocazione” dove invece sono diventati ordinari e razionali termini come profitto, conquista, potere illimitato. Così ci stiamo abituando agli eventi estremi: alla violenza di strada, al piacere sfrenato che ostenta, svende, ‘cosifica’ e preda i corpi, alle invasioni degli stati, ai massacri, ai disastri ambientali, alle guerre, e anche alla guerra totale ed atomica. Sopravanza la prosa dell’odio e della morte e si spegne la poesia della vita e dell’amore. Ma «nell’era dell’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che per salvare l’umano sono necessari la poesia e l’amore» (Dilexit nos, 20).

Accumuliamo rovine se facciamo poggiare la piattaforma sociale sull’algoritmo dell’autoreferenzialità, del narcisismo, dell’individualismo, dell’indifferenza, del profitto sfrenato e dell’imperialismo scientista. Papa Francesco chiama tutto questo «anti-cuore»: «l’altro scompare dall’orizzonte e ci si chiude nel proprio io, senza capacità di relazioni sane. Di conseguenza, diventiamo incapaci di accogliere Dio» (Dilexit nos, 17). Lo vorrei dire con le parole della Genesi: ci nascondiamo a noi stessi e smettiamo di passeggiare nel giardino della vita con Dio: «Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino» (Gn 3,8).

Gli eventi che stanno stravolgendo la convivenza umana nel mondo, la criticità della società occidentale e la fragilità stessa della Chiesa, provocano noi tutti a riconsiderare quella sapiente domanda iniziale contenuta nel libro della Genesi: «Il Signore Dio lo chiamò e gli disse: “Adamo, dove sei?”» (Gn 3,9) e ci chiedono di riprendere e di continuare il dialogo con Dio facendoci raggiungere dalla sua Parola, come Maria a Nazaret.

Gli uomini e le donne siamo fatti per parlare con Dio, per «essere di fronte a lui» (Ef 1,4), per stargli accanto da figli e da fratelli. Non possiamo continuare a nasconderci da lui. Dio è tutto ciò di cui necessita realmente l’uomo, e forse anche per questo stiamo smarrendo il senso di appartenenza ad una comunità, l’essere comunità. In un’intervista il famoso attore e attivista Joaquin Phoenix dice: «Ti sei mai accorto come è diventato là fuori? Nessuno più prova a mettersi nei panni dell’altro».

Così sacrifichiamo la speranza sull’altare della disperazione e costruiamo un tempio alla paura e al terrore. Non ci rimane che assistere impotenti e rassegnati alla crescita esponenziale – dell’inimicizia, come la chiama il libro della Genesi – della violenza nelle tre case che abitiamo, anzi le quattro case: la Dimora domestica, che ci rende famiglia, la Casa-Città che ci rende concittadini, la Casa-Chiesa che ci rende comunità cristiana, la Casa-pianeta-Terra, che ci ospita come membri dell’unica famiglia umana. In quest’ultima Casa i confini li abbiamo tracciati e innalzati noi uomini e non Dio. Egli infatti a tutti gli uomini e le donne di ogni tempo ha donato un giardino fecondo con al centro l’albero della vita, da abitare come fratelli e sorelle, nella pace e nella cura reciproca. E a farne le spese nelle tre case sono sempre i più piccoli e i più fragili: i piccoli, le donne, gli ammalati, gli anziani, i poveri, i senza casa, i senza voce, i profughi, gli scarti di questo mondo tecnologizzato, iperconnesso ma scollegato dal cuore, senza amore, infartuato nel cuore. Si spegne, infatti, l’«amore di cui quel cuore è capace, perché “l’amore è il fattore più intimo della realtà”» (Dilexit nos, 11).

Maria è la donna che ha posto la sua esistenza «sotto il “dominio politico” del cuore». È ciò che Papa Francesco indica come compito urgente: «Abbiamo bisogno che tutte le azioni siano poste sotto il “dominio politico” del cuore, che l’aggressività e i desideri ossessivi trovino pace nel bene maggiore che il cuore offre loro e nella forza che ha contro i mali; che anche l’intelligenza e la volontà si mettano al suo servizio» (Dilexit nos, 13).

Maria, Vergine Immacolata, Madre di Dio e Madre nostra, «come in cielo, […] così sulla terra brilla ora innanzi al peregrinante popolo di Dio quale segno di sicura speranza e di consolazione, fino a quando non verrà il giorno del Signore (cfr. 2 Pt 3,10)» (Lumen gentium, n. 68). Per questo, con papa Francesco, siamo certi che anche nel travagliato tempo che attraversiamo «la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). E la Madre di Dio ne «è la più alta testimone. In lei vediamo come la speranza non sia fatuo ottimismo, ma dono di grazia nel realismo della vita. […] ai piedi della croce, mentre vedeva Gesù innocente soffrire e morire, pur attraversata da un dolore straziante, ripeteva il suo “sì”, senza perdere la speranza e la fiducia nel Signore. […] e nel travaglio di quel dolore offerto per amore diventava Madre nostra, Madre della speranza» (Spes non confundit, Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025).

Questo simulacro che noi veneriamo raffigura la Vergine Immacolata, Maria, “la” credente. In lei ammiriamo la potente azione della fede in Dio nella vita di quanti lo accolgono nel cuore! «Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore» (Lc 1,45).

Anche Palermo ha bisogno di cuori credenti che rimangono puri, veri, scrigno di discernimento e di verità, sacrario dell’incontro con sé stessi e con Dio, sorgente dell’amore per Dio e per i fratelli.

Stasera, con la processione dell’Immacolata, con cuore umile, puro e vero, ci vogliamo unire al sì di Maria, Madre della speranza. È un chiaro segno di speranza per la nostra Palermo.