In relazione alla circostanza – comunicata agli organi di informazione dai vertici della Dia di Palermo a seguito dell’arresto di otto persone ritenute organiche alla famiglia mafiosa del quartiere Arenella – relativa alla presenza del boss Gaetano Scotto (tra gli otto destinatari delle misure restrittive) ai festeggiamenti in onore di Sant’Antonio di Padova nel giugno del 2016, l’Arcidiocesi di Palermo precisa che la presenza del boss a bordo dell’imbarcazione privata che trasportava la statua del Santo non è riconducibile in alcun modo né alla Confraternita “Sant’Antonio di Padova all’Arenella” (organizzatrice dei festeggiamenti) né tanto meno alla parrocchia di Sant’Antonio di Padova.
La Confraternita si è anzi premurata di indicare al proprietario dell’imbarcazione il numero di coloro che potevano accompagnare la statua del Santo durante la processione via mare in ottemperanza alle disposizioni della Capitaneria di Porto di Palermo e delle autorità marittime. Se qualcuno – e tra questi lo Scotto – ha deciso di salire a bordo fuori dalle procedure che devono essere normalmente seguite, ciò non è minimamente ascrivibile alla responsabilità degli organizzatori dei festeggiamenti e della parrocchia del luogo.
Il parroco della chiesa di Sant’Antonio di Padova don Francesco Di Pasquale e i responsabili della Confraternita “Sant’Antonio di Padova all’Arenella” non soltanto stigmatizzano l’eventuale presenza di soggetti legati alla criminalità mafiosa che approfittano della presenza di centinaia di fedeli per mischiarsi alla folla ma prendono le distanze da ogni possibile forma di strumentalizzazione di un evento religioso che deve essere vissuto soltanto in ragione di una fede e di una devozione autentiche.
La Chiesa di Palermo ribadisce ancora una volta l’assoluta inconciliabilità dell’agire malavitoso con l’appartenenza ad una confraternita, così come chiaramente espresso nel Decreto del 25 gennaio 2019 emanato dall’Arcivescovo S.E. Mons. Corrado Lorefice; un Decreto che richiama anche la Lettera “Convertitevi!” dei Vescovi di Sicilia in occasione del venticinquesimo anniversario dell’accorato appello di S. Giovanni Paolo II, nella Valle dei Templi di Agrigento, il 9 Maggio 1993: con quella Lettera i Presuli siciliani hanno riaffermato con forza l’inconciliabilità «di chi si affilia alle organizzazioni mafiose, pur continuando a farsi quotidianamente il segno della croce e a frequentare la messa domenicale, oltre che le processioni patronali e le riunioni confraternali, senza però avvertire in tutto ciò alcuna contraddizione». «Non possiamo rassegnarci – continuano i Vescovi – a veder degenerare le varie forme di pietà popolare in espressioni di mero folklore, manovrabile in varie direzioni, anche da parte delle famiglie mafiose di quartiere, in quest’ultimo caso soprattutto per fini di visibilità e di legittimazione sociale. Non possiamo tollerare che le festività di Cristo Gesù, di Maria Madre sua e dei suoi santi degenerino in feste pseudo-religiose, in sagre profane, dove – nella cornice di subdole regie malavitose – all’autentico sentimento credente si sostituiscono l’interesse economico e l’ansia consumistica, e dove non si tributa più onore al Signore ma ai capi della mafia».
Si tratta di indicazioni che la Confraternita “Sant’Antonio di Padova all’Arenella” ha pienamente recepito anche attraverso il costante rapporto con la parrocchia del quartiere, attualmente impegnata ad annunciare il messaggio di salvezza del Vangelo attraverso la promozione di progetti di utilità sociale, come il progetto “In.Con.Tra” finanziato con i fondi dell’8 per Mille e il progetto “Tutti a bordo” realizzato in sinergia con l’amministrazione comunale; un impegno che nei mesi è costata alla parrocchia una quindicina di scritte offensive e intimidatorie sui muri delle strade che conducono al porticciolo dell’Arenella. “Segnali che denotano – ha sottolineato l’Arcivescovo – che c’è qualche forza a cui questo lavoro e la collaborazione tra parrocchia, Confraternita, Istituto Maria Ausiliatrice, Azione Cattolica e diverse altre realtà dà fastidio”
Che nessuno creda quindi di poter trasformare un evento di fede e di devozione in una sorta di “passerella” attraverso codici di comunicazione che nulla hanno a che fare con la religiosità popolare autentica e ispirata unicamente all’annuncio del Vangelo.