“Questa sera ci ritroviamo perché condividiamo un fallimento comune. Ci troviamo a pieno titolo perché innanzitutto abitiamo questa città e poi molti di noi apparteniamo anche a quella casa fraterna che vive tra le case degli uomini, alla famiglia di Gesù. Se c’è chi muore e chi infligge una morte così, abbiamo perso tutti”.
Lo ha detto l’Arcivescovo di Palermo mons. Corrado Lorefice, lunedì sera nel corso di un momento di preghiera per ricordare Marcello Cimino, il clochard arso vivo dalla durezza del cuore umano, dall’incomprensione e dall’indifferenza. La preghiera è stata organizzata da tutte le realtà che ogni giorno vivono il loro servizio a Dio e all’Uomo nella prossimità agli ultimi e alle persone più fragili, come la Caritas diocesana, la Comunità di Sant’Egidio e la comunità del Frati minori cappuccini.
“Questo lo vogliamo considerare un momento in cui prendiamo consapevolezza di ciò – ha proseguito don Corrado -. Finché uno di noi dovrà vivere la sconfitta, la pesantezza, la divisione, l’abbandono, la mancanza di un tetto, fino a che vivrà relazioni infrante o sarà costretto ad andare via da casa, luogo degli affetti, fino a che la durezza della vita ci renderà incapaci di vivere relazioni serene, o ci obbligherà a vivere per strada, allora abbiamo perso tutti. Ha perso la città e ha perso la casa tra gli uomini che è la Chiesa”.
L’arcivescovo ha poi invitato tutti, i cristiani soprattutto, a sentire la responsabilità della città degli uomini, mantenendo il cuore umano.
“Per Dio nessun uomo è uno zero. Oggi rischiamo di ignorare che l’altro sono io e di contribuire a sfigurare il nostro stesso volto. Coloro che sono costituiti per esercitare il diritto e la giustizia (dice Geremia nella lettura scelta per la preghiera) non dovranno opprimere quanti del popolo portano il segno della debolezza e della sofferenza, anzi devono vivere per liberare l’oppresso. Altrimenti quella sarà una città disabitata. Marcello e Giuseppe sono accomunati da una cosa, dal fatto di essere considerati uno zero. A Marcello dobbiamo chiedere scusa. A Giuseppe, che abbiamo dovuto consegnare alla giustizia umana, diciamo che dobbiamo consegnarlo alla Misericordia di Dio”.
Molto rattristato anche il direttore della mensa dei Cappuccini padre Domenico Spatola, tra gli ultimi a vedere Marcello vivo quella sera. Poco prima di cominciare una riunione nei locali di via Cipressi, lo aveva incontrato davanti al cancello, gli aveva portato del pane. “Era il suo viatico, era il pane d’amore – ha detto – Quel pane rappresentava tutte le volte che lui riceveva quel dono, ma doveva essere per l’eternità. Lo sto comprendendo questa sera. Sono convinto che quella fu la sua ultima Eucaristia”. Al termine della liturgia, un lungo corteo con una lampada accesa ha raggiunto il luogo dell’omicidio, per un’ultima preghiera.
Lo ha detto l’Arcivescovo di Palermo mons. Corrado Lorefice, lunedì sera nel corso di un momento di preghiera per ricordare Marcello Cimino, il clochard arso vivo dalla durezza del cuore umano, dall’incomprensione e dall’indifferenza. La preghiera è stata organizzata da tutte le realtà che ogni giorno vivono il loro servizio a Dio e all’Uomo nella prossimità agli ultimi e alle persone più fragili, come la Caritas diocesana, la Comunità di Sant’Egidio e la comunità del Frati minori cappuccini.
“Questo lo vogliamo considerare un momento in cui prendiamo consapevolezza di ciò – ha proseguito don Corrado -. Finché uno di noi dovrà vivere la sconfitta, la pesantezza, la divisione, l’abbandono, la mancanza di un tetto, fino a che vivrà relazioni infrante o sarà costretto ad andare via da casa, luogo degli affetti, fino a che la durezza della vita ci renderà incapaci di vivere relazioni serene, o ci obbligherà a vivere per strada, allora abbiamo perso tutti. Ha perso la città e ha perso la casa tra gli uomini che è la Chiesa”.
L’arcivescovo ha poi invitato tutti, i cristiani soprattutto, a sentire la responsabilità della città degli uomini, mantenendo il cuore umano.
“Per Dio nessun uomo è uno zero. Oggi rischiamo di ignorare che l’altro sono io e di contribuire a sfigurare il nostro stesso volto. Coloro che sono costituiti per esercitare il diritto e la giustizia (dice Geremia nella lettura scelta per la preghiera) non dovranno opprimere quanti del popolo portano il segno della debolezza e della sofferenza, anzi devono vivere per liberare l’oppresso. Altrimenti quella sarà una città disabitata. Marcello e Giuseppe sono accomunati da una cosa, dal fatto di essere considerati uno zero. A Marcello dobbiamo chiedere scusa. A Giuseppe, che abbiamo dovuto consegnare alla giustizia umana, diciamo che dobbiamo consegnarlo alla Misericordia di Dio”.
Molto rattristato anche il direttore della mensa dei Cappuccini padre Domenico Spatola, tra gli ultimi a vedere Marcello vivo quella sera. Poco prima di cominciare una riunione nei locali di via Cipressi, lo aveva incontrato davanti al cancello, gli aveva portato del pane. “Era il suo viatico, era il pane d’amore – ha detto – Quel pane rappresentava tutte le volte che lui riceveva quel dono, ma doveva essere per l’eternità. Lo sto comprendendo questa sera. Sono convinto che quella fu la sua ultima Eucaristia”. Al termine della liturgia, un lungo corteo con una lampada accesa ha raggiunto il luogo dell’omicidio, per un’ultima preghiera.