«Nell’istante terribile in cui non c’è più niente da credere
o da sperare – non più aria né porte – tu sorgi»
(C. Bobin, Il Cristo dei papaveri, Frammento LXXX, p. 94).
Omelia
«Il primo giorno della settimana, al mattino presto [le donne] si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono che la pietra era stata rimossa dal sepolcro e, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù» (Lc 24,1-3). «Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro» (Gv 20,1).
È l’incipit del gioioso annunzio che risuona nella Veglia e nel Giorno di Pasqua.
In un sepolcro sigillato con una grossa pietra non c’è più luce, aria, non c’è il soffio vitale, manca il respiro, non ci sono porte, vie di uscita. Nessuna porta di sicurezza, nessuna via di fuga che possa far fuggire verso l’aria, a ritrovare il respiro della vita. In un sepolcro sigillato manca il soffio vitale non solo a chi vi è seppellito – all’amato – ma anche a chi vi si reca a farvi visita. Non c’è più niente da credere o da sperare, l’unica possibilità è avere forza sufficiente per rotolare la pietra, fermarsi davanti al cadavere e compiere i consueti mesti gesti funebri.
Il buio del sepolcro come il buio del cuore. I piedi spossati dai giorni della passione, le mani solcate e fiaccate dal dolore, capaci solamente di trasportare e reggere l’occorrente per ungere il corpo di Gesù già irrigidito dal gelo della morte. Eppure, sopraggiunge l’inatteso e l’inaudito. Il luogo dove la fede e la speranza erano state definitivamente seppellite insieme al corpo esanime diventa il primo ambone, la tribuna della storia, da dove, fino ad oggi, parte e si propaga l’annuncio che suscita la fede e nutre la speranza.
La pietra rotolata e il sepolcro vuoto sono i segni che attivano lo ‘scatto finale’ per passare dall’incredulità alla fede, dalla rassegnazione alla speranza. Al sepolcro vuoto avviene, oggi come ieri, il ‘ribaltamento’ della fede irrorata dall’annuncio pasquale: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato» (Lc 24,5-6). «Nell’istante terribile in cui non c’è più niente da credere o da sperare – non più aria né porte – tu sorgi» si legge nel Frammento LXXX de Il Cristo dei papaveri di C. Bobin. Maria di Magdala e le donne comprendono che non è finita, anzi tutto comincia, la vita riparte in maniera nuova.
«Ricordatevi come [Gesù] vi parlò quando era ancora in Galilea» (Lc 24,6), dicono i due uomini dai vestiti sfolgoranti – messaggeri della Parola di Dio – che al sepolcro vuoto si presentano alle donne. Sono lì per rammentare loro l’insegnamento dato da Gesù in Galilea. Oltretutto, il termine sepolcro, in greco mnēmeîon, alla lettera significa “luogo della memoria”.
Sono i due uomini già individuati sul monte della trasfigurazione, Mosè ed Elia (cfr Lc 9,29-30), l’Antico Testamento nella sua duplice componente fondamentale: la Torah e i Profeti. Per questo lo abbiamo percorso nella Veglia. Sono venuti ad introdurre le donne al senso pieno del sepolcro vuoto, come interpreti autorevoli dell’evento pasquale.
«Non è qui [perché] è risorto» (Lc 24,6). La mancanza del corpo di Gesù nel sepolcro non è la prova del messaggio pasquale: non c’è il cadavere perché Gesù attraverso la morte è diventato il vivente, grazie all’intervento di Dio stesso che lo ha risuscitato. Luca si preoccupa di dire «è risorto», usa il verbo al passivo (eghérte), un passivo dell’azione divina. Il primo annuncio della Pasqua non è un’apparizione del Vivente, come [stanotte] la meravigliosa statua del Risorto di Antonello Gagini al momento dello svelamento. Ma la proclamazione – l’annuncio – che egli è vivente e che agisce ‘oggi’ nella sua comunità. Il quarto Vangelo annotando: «Entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette» (Gv 20,8), vuole precisare che la tomba senza il corpo di Gesù è linguaggio che parla di vittoria sulla morte, di rinascita e di gloria. Nella fede del “discepolo altro, amato” troviamo un prototipo e un esempio per i cristiani di ogni tempo: una fede senza la ‘stampella’ della visione.
«E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli» (Lc 24,9-10). «Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: “Ho visto il Signore” e anche ciò che le aveva detto» (Gv 20,18).
Maddalena e le donne vanno immediatamente a dare l’annuncio ai discepoli e amici di Gesù, divenendo così ‘Apostole degli Apostoli’. Rimaste vicine a Gesù fino alla sua morte, sono le prime che si recano alla tomba. La presenza dei due uomini che ‘vengono’ da Dio e l’annunzio sulle labbra delle ‘Apostole’ corse dai discepoli, sono un chiaro messaggio per noi qui, oggi: la fede non riposa né su un fatto verificato secondo principi scientifici, né su una testimonianza indiretta, ma essa nasce dall’assiduo ascolto e comprensione delle Scritture e dall’incontro esistenziale, personale, ‘empatico’ con il Crocifisso risorto stesso che continua a visitare, a radunare e a inviare la sua Chiesa.
Una fede che coinvolge tutto il nostro essere: il corpo, la nostra intelligenza, i nostri sentimenti, la nostra volontà. La gioia di correre a portare ad altri un annuncio che può diventare incontro con il Crocifisso risorto, incontro che cambia la vita, che la fa ripartire, che la fa diventare e-vangelo, “buona e bella notizia”, in grado di porre i segni della Risurrezione di Cristo: di vita, mentre avanza la cultura della morte; di perdono e riconciliazione, dove cova l’odio e la vendetta; di solidarietà e cura, dove cresce l’indifferenza; di pace, dove ferve l’inimicizia e la guerra; di gratuità, mentre ovunque viene idolatrato il profitto; di accoglienza, là dove vengono pianificati muri e respingimenti.
Dio non è nei segni di morte: nel sepolcro, nei teli ben ripiegati per terra (cfr Gv 20,5), nei vasi degli unguenti che le donne erano venute a portare per ungere un defunto. Gesù è altrove. Abita la vita e ci narra ancora che Dio non è nei segni di morte ma della vita. I segni di morte vengono sparsi dagli uomini dal cuore indurito in cui prevale la brama di potere e di denaro, l’idolatria dell’io, la libertà sfrenata, l’indifferenza, la paura inconfessata della morte, la ricerca illimitata di piacere, e per questo diffondono paura, prevaricazioni, competizione smodata, distruzione, guerre, morte.
Sotto i nostri occhi stanotte, oggi, è evidente la corsa dell’Evangelo della risurrezione di Gesù portata avanti dalla Chiesa, dalle fraternità dei discepoli e delle discepole del Crocifisso risorto. Ce lo confermano questi nostri fratelli e sorelle adulti che hanno chiesto di essere immersi nelle acque della rigenerazione pasquale, di celebrare i sacramenti dell’iniziazione Cristiana, il Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia, di far parte della comunità cristiana, della Chiesa.
Si diventa cristiani anche oggi, da adulti, per seduzione del cuore, per consapevole scelta. Ancora oggi ci sono uomini e donne capaci di rispondere al dono della fede pasquale. Gioiosi di appartenere a Dio, di far parte della Chiesa di Cristo, di essere animati dallo Spirito di Dio, capaci di rinnegare «il lievito vecchio» per divenire «pasta nuova» (1Cor 5,6) fermentata dallo Spirito, non più schiavi degli idoli di questo mondo. Se è vero che oggi sempre meno si nasce cristiani, è anche vero che sempre più tanti diventano cristiani per convinzione. Altri riscoprono il Battesimo ripercorrendo il catecumenato.
Accogliamo con gioia questi nostri fratelli e sorelle che nel Battesimo ci appartengono a un duplice titolo: come membri dell’unica famiglia umana e come membri dell’unico Corpo di Cristo. Benediciamo Dio Padre per questi nostri fratelli e sorelle speranza della nostra Chiesa che sempre si ringiovanisce accompagnata dallo Spirito fecondatore dei cuori che porgono ascolto all’annunzio pasquale della morte e risurrezione di Gesù Cristo, il Primogenito della nuova creazione.
Risuoni ancora nel mondo per mezzo della Chiesa l’annunzio pasquale, arrivi con l’autorevole e credibile testimonianza di noi rinati dalle acque battesimali. Giunga, soprattutto in questo inquietante momento che vive la Casa comune travolta da guerre senza tregua. Continuiamo a cantare il Preconio – l’Inno solenne della Luce – e l’Alleluia pasquali con gioiosa instancabile insistenza nelle nostre assemblee liturgiche, nelle nostre case, nelle nostre strade, nei nostri posti di lavoro, nei luoghi preposti a servire la Casa comune – cosa sono le nostre Città e il pianeta Terra che abitiamo? – per il bene di tutti, specialmente di quanti restano ‘scartati’ dalle nefaste conseguenze dell’economia del profitto. Arrivi ovunque l’Alleluia di tutte le confessioni cristiane che quest’anno per coincidenze astronomiche celebrano la Pasqua in questa stessa domenica. Metta a tacere il frastuono mortifero della guerra. La Pasqua settimanale, celebrata di domenica in domenica nelle nostre comunità cristiane, sia l’opportunità straordinaria di fare ‘Pasqua senza tregua’, unica via per vincere il demone del potere che eccita le passioni violente, lo spirito di conquista e arma i cuori e le mani. La Pasqua di Cristo – l’Amore più forte della morte – generi la speranza cristiana che non delude: la storia umana nel suo tormentoso travaglio è ormai irreversibilmente protesa verso il riscatto definitivo dal peccato, dal male e dalla morte. La potenza della Pasqua di Cristo ci accompagni sempre.
Auguri a tutti di una santa e proficua Pasqua di Risurrezione.