Omelia di Pasqua del card. Paolo Romeo
1. “Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo”. Il nostro cuore ancora una volta si riempie di gioia e di gratitudine per questo giorno che ancora una volta viviamo e che riceviamo in dono da Dio. Un giorno “fatto dal Signore” perché creato da lui in modo nuovo e sorprendente: la Pasqua di Gesù Cristo, il Signore che ha attraversato la morte e vive risorto per sempre.
Chi poteva “fare” questo giorno che è pieno di eternità? Solo il Signore del tempo e della storia. Chi poteva cominciare una cosa davvero nuova? Solo il Dio della novità. Protagonista assoluto di questo “oggi” è Dio: in Cristo Gesù è lui che ha vinto sul peccato e sulla morte!
Ma, insieme a lui, di questo giorno, di questo “oggi” compiuto, partecipiamo tutti noi, perché questo è il giorno della nuova creazione dell’umanità. Questo “oggi” così pieno di vita giunge fino a noi, e ci coinvolge in una luce nuova, quella che stanotte, nel simbolo del Cero pasquale, ha squarciato le tenebre dell’oscurità e adesso risplende come segno di vittoria e di salvezza definitiva: “Lumen Christi! – La Luce di Cristo!”
Rallegriamoci ed esultiamo, perché questo suo giorno il Signore lo ha fatto per noi! Perché ha offerto a noi la possibilità di entrare nella stessa risurrezione del suo Figlio Gesù!
È un giorno senza tempo e senza fine, perché in esso si compie la promessa di eternità, e all’uomo, ad ogni uomo, viene donata la possibilità di vivere da autentico figlio di Dio, di vivere da risorto.
2. “E noi siamo testimoni… noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti”. Pietro e gli apostoli testimoniano quanto hanno sperimentato durante la vita terrena di Gesù, accompagnando il suo ministero, e quanto hanno continuato a sperimentare anche dopo la sua risurrezione. Di cosa sono stati testimoni?
Essi hanno sperimentato che Gesù ha vissuto tutta la sua vita come donazione totale di sé, fino alla follia dell’amore che si fa inchiodare su una Croce ed offre l’intera sua esistenza per il mondo. Essi hanno sperimentato e verificato che la risurrezione è l’opera del Padre che gradisce l’offerta d’amore del Figlio e lo risuscita: l’amore di Gesù, vissuto fino alle estreme conseguenze, ha aperto il cammino perché si giungesse alla pienezza della vita. Nella risurrezione di Cristo il Padre ha dimostrato che solo questo amore è la via della vita, della vita in pienezza.
Anche noi siamo chiamati ad essere testimoni di tutto questo. Non possiamo permetterci di chiuderci nelle nostre pigrizie, perché tradiremmo il mandato del Signore di annunziare la vittoria dell’amore sul peccato e sulla morte. Se avremo sperimentato che Cristo è il Redentore della nostra vita, mai ci stancheremo di annunziarlo, e di accompagnare le nuove generazioni all’incontro con lui.
3. E noi? Avvertiamo davvero il bisogno di far giungere il messaggio di pienezza della vita fino a quelle che il Papa ha chiamato nei giorni scorsi le “periferie dell’esistenza”? Sentiamo di poter vivere la risurrezione solo se siamo testimoni di un amore senza riserve? Un amore che non ci chiude nei nostri egoismi, e che trasfigura la nostra stessa vita? Dobbiamo aver chiaro che abbiamo anche noi la possibilità di vincere la morte, ma solo come ha fatto Gesù: morendo.
“Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9,23): è la morte del nostro uomo vecchio, quando possiamo far spazio alla sua folle proposta di vita nuova.
Morire a noi stessi, alle nostre passioni, al nostro egoismo, alla nostra bassezza per vivere finalmente con un orientamento nuovo, che ci fa respirare cielo: “Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù… rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra”.
Don Pino Puglisi, lo abbiamo ricordato tante volte, riproponeva spesso questo slogan: “Venti, sessanta, cento anni, la vita. A che serve se sbagliamo direzione? Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come lui, annunciare il suo amore che salva”. Coma a dire che non sono le nostre numerose “pasque” a farci camminare e crescere, pittosto l’orientmento della nostra vita a Cristo, la direzione del nostro cammino in compagnia di Cristo, “cercando le cose di lassù”.
Camminiamo nella nostra giornata terrena con i piedi ben posati per terra, immersi nelle nostre occupazioni e carichi delle nostre preoccupazioni, così come ci viene richiesto dalla nostra condizione umana. Ma bisogna riconoscere che troppo spesso tutto questo è un chiuderci solo su noi stessi isolandoci dalle provocazioni che ci vengono dal Signore che ci chiama.
Proprio questa “direzione” della vita, questo orientamento, rende il volto di Dio presente nell’oggi dell’uomo, costruisce comunione, ci fa crescere in santità di vita e dignità.
È proprio questa la ricerca che mi pare ci consegni il Risorto che ci accoglie in questa Cattedrale: il suo braccio teso verso l’alto ci chiama ad uno sguardo nuovo, uno sguardo di fede che rilegge la storia orientata alle “cose di lassù”. Uno sguardo che rielabora le nostre vicende terrene e ci dona la libertà di affrontarle in vista dei beni eterni. Uno sguardo che punta al cielo e dal cielo attende la forza per poter camminare con i piedi per terra in mezzo alle vicende di questo mondo. Nell’esercizio del mio ministero ho servito la Chiesa in tante realtà e in diversi Paesi, ma posso dire che questa Cattedrale, nella quale sono consegnati secoli di storia e di arte, trova nel Risorto che la domina una singolarità di cui sono fiero.
“Cercate le cose di lassù” sembra dire il Risorto ad una Città e ad una Regione che si vedono sempre più depresse ed abbattute, che non vedono futuro. Bisogna rivolgere il pensiero e la vita alle “cose di lassù”, ma non per estranearci dai problemi che ci attanagliano, pittosto per potere risorgere in modo pieno ed autentico.
L’umanità di Gesù, morto e risorto, ci apre un cammino per le nostre risurrezioni, per quell’autentico rinnovamento di cui abbiamo bisogno, un rinnovamento che è prima interiore e di conseguenza anche esteriore e visibile, nei nostri rapporti e nella società che, da uomini nuovi, decidiamo di costruire.
Palermo e la nostra Sicilia hanno bisogno di nuove opportunità e di nuova vita! Non possiamo permetterci di riaprire l’emorragia dell’emigrazione che rompe i vincoli familiari e culturali che fanno bella la nostra esistenza. Abbiamo bisogno di una risurrezione che, più che economica, è primariamente interiore e morale, di una rinascita in cui ciascuno, animato e sorretto dai valori che ritrova dentro, possa compiere, per la sua parte, tutti i passi necessari a rianimare il futuro.
3. “Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. Maria di Magdala va al sepolcro per dare giusta sepoltura al Maestro venuto a mancare. Ma quel giorno, il “primo giorno dopo il sabato”, che doveva essere un mattino come tanti, diventa il giorno della novità della vita che non finisce.
Quel mattino ancora buio, quasi intonato all’oscurità del cuore di Maria di Magdala, è l’alba dell’itinerario della fede pasquale: dal vedere superficiale della Maddalena, si passa a quello di Simone, che si interroga sulle bende per terra, e si arriva a quello del Discepolo amato, che osserva e comincia a credere perché comincia a ricordare e comprendere “la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.
Questo sguardo di fede dobbiamo implorarlo da Dio come dono e in esso tutti abbiamo bisogno di crescere, di camminare, perché il nostro non sia un vagare tra sepolcri, piuttosto un passo deciso verso una direzione di Vita. Uno sguardo di fede che ci invita a leggere la nostra vita, la nostra storia, come guidata ed accompagnata da Dio, orientata verso il bene e verso la pienezza della vita che ci vuole donare.
Uno sguardo che, mentre punta in alto, ci invita a guardare dentro di noi, per riconoscere che, pur in mezzo alle miserie del nostro cuore, pur tra le tante brutture della vita, proprio dal cuore Dio vuole ripartire, guarendo le nostre ferite e restituendoci la dignità di figli.
Non è facile avere questo sguardo, che è una possibilità di vedere in modo non superficiale. Uno sguardo che va a fondo.
Così, anche nel momento in cui tutto è sconfitto, in cui raccogliamo solamente delusione, Gesù si accosta a noi come ai discepoli di Emmaus e, mettendosi accanto a noi, ci svela non soltanto il senso delle Scritture, ma anche, alla luce di queste, il senso della nostra stessa vita, di ciò che proviamo e di ciò che siamo chiamati ad affrontare. Per poi farci cambiare direzione, farci arrestare la fuga e farci cambiare strada, farci cambiare vita.
Il passaggio della Pasqua è questo cambio di direzione. “Io sto alla porta e busso”: a noi di aprire questa porta perché Cristo possa entrare nelle nostre vite.
4. Se la Pasqua ci porta a questa vita nuova, la luce e la gioia del Risorto ci dà un grande senso di responsabilità nell’assumere tutte le problematiche che travagliano la società di oggi. Questa luce ci sprona a percorrere cammini che migliorino il mondo che ci è stato consegnato.
È la Pasqua che ci fa essere speranza di coloro che non hanno più speranza. Ce lo ha ricordato nei giorni scorsi papa Francesco: “E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù” (Domenica delle Palme, 24 marzo 2013).
Questa è la testimonianza della risurrezione che siamo chiamati a dare. Chiamati a testimoniare autenticamente che la nostra vita è cambiata nell’incontro con il Dio Vivente, che ci da’ la possibilità di vincere con lui per sempre, perché il nostro peccato viene distrutto dalla potenza del suo nome, e ogni morte viene sconfitta dalla forza della sua vita.
Questa remissione dei peccati è epifania del Risorto, manifestazione gioiosa e gloriosa della sua azione che ancora continua e che mai cesserà.
Oltre la pietra ribaltata, oltre il sepolcro vuoto, oltre il buio, siamo tutti invitati a vedere la luce del Risorto, che ci chiama ancora a vita nuova, che ci ricostruisce la vita, che ci apre alla speranza.
È giorno di gioia perché non è più tempo di indugiare, tentennare, adagiarsi. L’invito è chiaro e forte, deciso e decisivo ad un tempo: non si può più cercare la Vita nei sentieri di morte, perché non si può più cercare tra i morti colui che è l’Autore della Vita, il Vivente. Egli vive! Questo ci basta! Perché se egli vive nulla ci può mancare, nulla può fallire, nulla può vincere la forza della Vita nuova che Dio ci ha voluto elargire.
Nella nostra esistenza avremo sempre un compagno che ci accoglie e ci aiuta con la forza, la luce e la grazia della sua risurrezione!