Il 23 maggio è una giornata di lancinante memoria. È bene, anzitutto, verificarsi ed interiorizzare il senso della vita, personale e sociale, le motivazioni umane, morali e spirituali, nonché l’adempimento indefettibile, con disciplina e onore, delle funzioni pubbliche (Costituzione Italiana, art. 54) – fino all’eroica offerta dei corpi –, delle vittime della strage di Capaci voluta e pianificata per mano della perversa e abominevole struttura di peccato e di oppressione che è stata ed è la mafia: Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
Si tratta di farsi pro-vocare – società civile e istituzioni – se quelle profonde convinzioni stanno oggi camminando sulle nostre gambe. Se il cambiamento mentale e culturale – necessario a sconfiggere la mafia che è una visione della vita oltre ad essere una struttura perversa di potere oppressivo – è un impegno costante ordinario di tutti nel rinnegare (abiurare!) i principi portanti su cui si alimenta la mafia. Solo così fare memoria di chi ha amato fino a morirne la Casa comune – la Città e il Pianeta che abitiamo – sarà fonte di rinnovata speranza per un futuro di libertà e di giustizia, di vita che avanza al ritmo di canti di gioia e non di mestizia e di lutto.
In questo giorno pregno di grata memoria ci accompagnino speranzosi i versi di Friedrich Hölderlin «Ma dove è il pericolo, /cresce anche ciò che dà salvezza. Nelle tenebre dimorano le aquile, /e senza paura vanno i figli delle Alpi /oltre l’abisso su ponti leggermente costruiti» (Patmos, 1893).