Messaggio dell'Arcivescovo alla Chiesa palermitana per la Quaresima 2016
Il cuore palpitante dell’annuncio evangelico è la misericordia di Dio, l’inaspettata e preveniente «bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto» (Francesco, Esort. ap. Evangelii gaudium, 36). La misericordia è la modalità con cui Dio si rende presente agli uomini per rivelare il suo volto e il suo nome.
In Gesù crocifisso Dio raggiunge gli uomini peccatori nella più estrema lontananza, proprio là dove la distanza e la separazione appaiono incolmabili: prendendo le fattezze del peccatore, facendosi peccato, come ci ricorda l’apostolo Paolo: «Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui» (2Cor 5, 21).
In Cristo “divenuto peccato” ogni uomo è un raggiunto da Dio e Dio prende sul serio il peccatore; non è indifferente a nessun uomo e a nessuna donna. Li raggiunge nel loro peccato “facendosi peccatore”, commensale e amico «dei pubblicani e dei peccatori» (Lc 7, 34). Gesù non ha fatto, come prima cosa, di ogni uomo un peccatore, non ha dichiarato peccatore nessuno, non è venuto a contare i peccati degli uomini; egli si è fatto “prossimo” dei peccatori. E così li ha chiamati fuori dai loro peccati, non ve li ha fatti entrare. Vi è ‘entrato’ lui, per far uscire loro. Come nel caso di Zaccheo: «Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”. Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”» (Lc 19, 7-10).
La Quaresima è un tempo propizio ove risuona tale annuncio originario a cui la comunità dei discepoli di Gesù «deve sempre tornare» (Francesco, Esort. ap. Evangelii gaudium, 164) per essere lei per prima rigenerata e liberata da ogni forma di orgoglio, di potere e ricchezza mondana. C’è un oggi della misericordia di Dio che riguarda direttamente la fraternità cristiana e la rende solidale nella salvezza con tutti gli uomini, destinataria con e per essi della miseratio continuata di Dio. Il Signore infatti «usa pazienza, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3, 9). Ciò è vero – a maggior ragione – in questo anno giubilare della Misericordia.
Il tempo della Quaresima, «sacramento della nostra conversione» (Colletta, I Domenica di Quaresima), grazie ad un più assiduo ascolto della parola di Dio contenuta nelle Scritture, introduce spiritualmente ed esistenzialmente nell’humilitatis exemplum del Figlio di Dio. Egli “pur essendo nella condizione di Dio”, si è svuotato della sua gloria divina e si è umiliato fino al punto di sottostare all’ignobile morte del legno della croce comminata a quanti non erano degni né della terra né del cielo, nella totale accettazione della condizione umana, così da assumere su di sé il peccato e a diventare – Lui, il tre volte santo! – “peccato”.
L’umiltà di Gesù non va semplicemente intesa come una bella virtù o un esempio da imitare. Essa testimonia che nella sua kenosis, nel suo abbassamento salvifico, Dio non è indifferente al destino dei peccatori; che Dio si prende cura di tutti gli uomini e di tutte le donne che sono segnati dal peccato, dalla sofferenza e da ogni forma di povertà. Per i cristiani, è necessaria questa conformità al loro Signore nell’umiltà che rende capaci di portare il fardello altrui (Fil 6, 2: «Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo»). E questa è l’opera che presiede lo Spirito: rendere simili, assimilare a Cristo.
La Quaresima è il cammino dell’umiltà che il Maestro chiede ai suoi discepoli di intraprendere per essere capaci di coinvolgersi in tutta verità, di uscire dall’indifferenza e dall’alienazione esistenziale.
È la scuola per vincere la sclerocardia, la durezza del cuore, l’idolatria dell’avere e del potere che ci rende orgogliosi e bramosi, operatori di ingiustizia, indifferenti, distanti, calcolatori, tiepidi.
È il tempo propizio della nostra consegna al volere di Dio, dell’accettazione della prova, della disponibilità al perdono pieno e incondizionato; della rinuncia all’odio, all’inimicizia, alla vendetta; della lotta all’amore smodato di sé; del nostro impegno a costruire una città inclusiva, solidale, giusta, attenta agli ultimi e ai piccoli, porto sicuro per i profughi e le vittime di questo nostro tempo.
Non si tratta di ripetere o imitare un singolo aspetto della vita di Gesù; si tratta di ripercorrere le sue orme, ciascuno nel proprio concreto vissuto, nel proprio stato di vita, nelle relazioni e negli impegni quotidiani. Occorre aprirsi all’opera della Grazia; invocare fiduciosamente il dono della sequela Christi.
Lo Spirito che accompagnò Gesù nel deserto, sospinga il cammino Quaresimale della nostra comunità diocesana verso la pienezza della Pasqua e ci conformi al suo Figlio humilis et patiens, l’Uomo nuovo, primogenito della nuova creazione.
+ Corrado Arcivescovo di Palermo
In Gesù crocifisso Dio raggiunge gli uomini peccatori nella più estrema lontananza, proprio là dove la distanza e la separazione appaiono incolmabili: prendendo le fattezze del peccatore, facendosi peccato, come ci ricorda l’apostolo Paolo: «Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui» (2Cor 5, 21).
In Cristo “divenuto peccato” ogni uomo è un raggiunto da Dio e Dio prende sul serio il peccatore; non è indifferente a nessun uomo e a nessuna donna. Li raggiunge nel loro peccato “facendosi peccatore”, commensale e amico «dei pubblicani e dei peccatori» (Lc 7, 34). Gesù non ha fatto, come prima cosa, di ogni uomo un peccatore, non ha dichiarato peccatore nessuno, non è venuto a contare i peccati degli uomini; egli si è fatto “prossimo” dei peccatori. E così li ha chiamati fuori dai loro peccati, non ve li ha fatti entrare. Vi è ‘entrato’ lui, per far uscire loro. Come nel caso di Zaccheo: «Vedendo ciò, tutti mormoravano: “È andato ad alloggiare da un peccatore!”. Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. Gesù gli rispose: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”» (Lc 19, 7-10).
La Quaresima è un tempo propizio ove risuona tale annuncio originario a cui la comunità dei discepoli di Gesù «deve sempre tornare» (Francesco, Esort. ap. Evangelii gaudium, 164) per essere lei per prima rigenerata e liberata da ogni forma di orgoglio, di potere e ricchezza mondana. C’è un oggi della misericordia di Dio che riguarda direttamente la fraternità cristiana e la rende solidale nella salvezza con tutti gli uomini, destinataria con e per essi della miseratio continuata di Dio. Il Signore infatti «usa pazienza, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (2Pt 3, 9). Ciò è vero – a maggior ragione – in questo anno giubilare della Misericordia.
Il tempo della Quaresima, «sacramento della nostra conversione» (Colletta, I Domenica di Quaresima), grazie ad un più assiduo ascolto della parola di Dio contenuta nelle Scritture, introduce spiritualmente ed esistenzialmente nell’humilitatis exemplum del Figlio di Dio. Egli “pur essendo nella condizione di Dio”, si è svuotato della sua gloria divina e si è umiliato fino al punto di sottostare all’ignobile morte del legno della croce comminata a quanti non erano degni né della terra né del cielo, nella totale accettazione della condizione umana, così da assumere su di sé il peccato e a diventare – Lui, il tre volte santo! – “peccato”.
L’umiltà di Gesù non va semplicemente intesa come una bella virtù o un esempio da imitare. Essa testimonia che nella sua kenosis, nel suo abbassamento salvifico, Dio non è indifferente al destino dei peccatori; che Dio si prende cura di tutti gli uomini e di tutte le donne che sono segnati dal peccato, dalla sofferenza e da ogni forma di povertà. Per i cristiani, è necessaria questa conformità al loro Signore nell’umiltà che rende capaci di portare il fardello altrui (Fil 6, 2: «Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo»). E questa è l’opera che presiede lo Spirito: rendere simili, assimilare a Cristo.
La Quaresima è il cammino dell’umiltà che il Maestro chiede ai suoi discepoli di intraprendere per essere capaci di coinvolgersi in tutta verità, di uscire dall’indifferenza e dall’alienazione esistenziale.
È la scuola per vincere la sclerocardia, la durezza del cuore, l’idolatria dell’avere e del potere che ci rende orgogliosi e bramosi, operatori di ingiustizia, indifferenti, distanti, calcolatori, tiepidi.
È il tempo propizio della nostra consegna al volere di Dio, dell’accettazione della prova, della disponibilità al perdono pieno e incondizionato; della rinuncia all’odio, all’inimicizia, alla vendetta; della lotta all’amore smodato di sé; del nostro impegno a costruire una città inclusiva, solidale, giusta, attenta agli ultimi e ai piccoli, porto sicuro per i profughi e le vittime di questo nostro tempo.
Non si tratta di ripetere o imitare un singolo aspetto della vita di Gesù; si tratta di ripercorrere le sue orme, ciascuno nel proprio concreto vissuto, nel proprio stato di vita, nelle relazioni e negli impegni quotidiani. Occorre aprirsi all’opera della Grazia; invocare fiduciosamente il dono della sequela Christi.
Lo Spirito che accompagnò Gesù nel deserto, sospinga il cammino Quaresimale della nostra comunità diocesana verso la pienezza della Pasqua e ci conformi al suo Figlio humilis et patiens, l’Uomo nuovo, primogenito della nuova creazione.
+ Corrado Arcivescovo di Palermo