Le clarisse ritornano al convento di Termini Imerese

Dopo tre settimane di chiusura, le suore di clausura di Santa Chiara tornano a casa al monastero della chiesa di San Marco e riprendono le attività di culto e di preghiera.

Le due suore rimaste, la madre superiora suor Maria Chiara Costanzo e suor Luciana, infatti, erano state provvisoriamente trasferite a Messina nel monastero di Montevergine Santa Eustochia Smeralda. Dopo cinque secoli, rischiava di chiudere infatti il convento delle Clarisse di Termini Imerese per mancanza di vocazioni.

Per Termini, il monastero, ha sempre rappresentato un punto di riferimento sotto il profilo religioso e tante giovani termitane, nel corso dei secoli, hanno scelto di entrarvi, per dedicarsi a una vita di preghiera e di contemplazione. Questa comunità, tuttavia, non è mai stata avulsa dalla realtà cittadina, in quanto molti fedeli partecipano alle funzioni che si svolgono nell’annessa chiesa di San Marco, dove si respira un’atmosfera di particolare fervore religioso.

La prospettiva che il monastero delle Clarisse potesse chiudere, era avvertita dolorosamente dai cittadini di Termini Imerese, che hanno avviato una raccolta di firme, auspicando che le competenti autorità religiose disponessero il trasferimento di qualche suora da altro convento, nell’attesa che nuove vocazioni si maturino in città e nel comprensorio.

Il monastero termitano fu fondato nel 1498. L’annessa Chiesa, intitolata a San Marco evangelista, fu prima sinagoga ebraica, almeno fino a quando Ferdinando il Cattolico bandì gli ebrei da tutta la Sicilia. A Termini Imerese gli ebrei occupavano un’ampia zona della parte alta della città, il cui centro era l’attuale piazza S. Caterina, nei pressi dell’anfiteatro romano. Il monastero sorge su un’ala dell’anfiteatro romano, circostanza acclarata a seguito di scavi effettuati in ultimo da Antonio Salinas, fondatore del museo archeologico di Palermo, la cui mamma era Maria Teresa Gargotta. Le suore venivano seppellite in una cripta adiacente alla chiesa. La storia narra di una suor Giovanna Barca, di nobili origini, che, nella metà del seicento, sarebbe stata condotta in monastero con l’inganno, dove rimase fino alla morte. In pratica, come la più nota Gertrude de «I Promessi Sposi» di Alessandro Manzoni. Ma la nostra avrebbe mantenuto una condotta esemplare. Nel XVI secolo fu tra le suore del monastero Lucia Ciaccio, eccezionale per devozione, cui sono attribuiti fatti prodigiosi. Morì in odore di santità. Nel 1998 nel monastero si contavano dieci suore, ridotte alle attuali due.