Nella Giornata internazionale di commemorazione delle vittime dell’Olocausto, mentre siamo chiamati a rinvigorire la memoria dello sterminio di milioni di persone, perseguitate a causa della loro razza, della loro religione, della loro condizione di fragilità, delle scelte che avevano compiuto per la loro vita, ci viene chiesto di misurare questa memoria con ciò che vedono i nostri occhi, con i fatti che siamo chiamati a giudicare nel presente: chi viene ucciso in un’altra guerra sempre più miope e insensata, nel cuore dell’Europa, chi viene perseguitato alle sue frontiere, chi tenta, proprio nelle nostre città, di rinnovare logiche di intimidazione e prevaricazione.
Sentiamoci allora oggi interrogati rispetto al significato della memoria come dovere personale, come atto di corresponsabilità sociale e civile, con tutte le sue conseguenze.
Dobbiamo custodire e difendere la memoria dell’Olocausto non solo da chi ha l’ardire di far cadere nell’oblio un tale drammatico evento della storia recente che ancora alcuni portano impresso sulla loro pelle e nelle loro coscienze dilaniate, ma anche da chi addirittura, in modo perverso e pericoloso, nega che sia mai accaduto. Fare memoria per educarci al pentimento e alla conversione per simili nefasti crimini.
Ma fare memoria, soprattutto, per gridare la pace contro ogni guerra in atto, e in particolare quella che si sta consumando nella martoriata Ucraina. Fare memoria per indignarci dei crimini che si consumano oggi sotto i nostri occhi, in particolare per lo sterminio in atto sul nostro Mediterraneo: «Si tratta di comprendere con responsabilità e umanesimo un fenomeno ‒ quello dei migranti e dei rifugiati ‒ che è una realtà del nostro mondo globale, da non gestire con paura e come un’emergenza, ma come un’opportunità» (Card. Zuppi).
Fare memoria ‒ soprattutto dopo la cattura del criminale latitante Matteo Messina Denaro ‒ per chiedere verità e giustizia sulle stragi di mafia che segnano ancora la coscienza e il tessuto sociale della nostra isola e per gridare che i mafiosi non sono in comunione con la famiglia umana e tantomeno con la Chiesa, perché disumani, e dunque ‘auto-scomunicati’, non appartenenti alla famiglia umana e cristiana.
«Non può esserci un impegno costante nel costruire insieme la fraternità senza aver prima dissipato le radici di odio e di violenza che hanno alimentato l’orrore dell’Olocausto» (Papa Francesco) e di ogni sterminio, di ogni strage, di ogni violenza, specialmente sui minori e sulle donne.
Risuoni anche in questo anniversario il monito: chi dimentica il proprio passato si condanna a riviverlo. Facciamo memoria per restare umani, per preparare ai nostri figli un domani radicalmente più umano.