21 maggio 2025 CS –55/25

Eucaristia di Ringraziamento per l’elezione di Papa Leone XIV Chiesa Cattedrale, 21 maggio 2025. Omelia Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice

Eucaristia di Ringraziamento per l’elezione di Papa Leone XIV

Chiesa Cattedrale, 21 maggio 2025

Omelia Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice

Nel quarto Vangelo l’immagine della vite e dei tralci è applicata a Cristo. Mentre una vigna è formata da tanti ceppi, la vite è un solo ceppo, anche se i tralci sono molti. È un chiaro rimando a un essere singolare ma che in se stesso implica una dimensione collettiva, comunitaria. Gesù si autodefinisce la vite così come si era definito la luce, la via, la verità, la vita, il pane. Qui addirittura specifica di essere la vita vera (hē alēthinē), alla lettera “quella vera”.

«Rimanete in me, e io in voi» (14,4): l’evangelista propone una chiara prospettiva di reciproca comunione, di reciproca relazione tra Gesù e i suoi. Ma invita anche a prendere parte alla missione che Dio Padre ha affidato a Gesù. Portare frutto, diventare discepoli: siamo al cuore della missione di Gesù. Gesù Rende partecipi dell’amore del Padre da cui tutto scaturisce e in cui tutto trova compimento. Questo è l’amore che trasforma il mondo perché è lo stesso amore, la stessa vita divina che circola nei e tra i discepoli e si riversa sul mondo.

Osservare i comandamenti di Gesù significa inserirsi nella corrente d’Amore che fruisce dal Padre sul mondo. «Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore» (15,10): come lui. La sua è una vita vissuta e conclusa nell’assoluta obbedienza al volere del Padre. Il Figlio rimane nell’amore del Padre, perché ha amato i suoi fino a morirne. Così l’istanza che si presenta ai discepoli di ogni tempo – a noi, dunque – è quella di amare gli altri e di amarci a vicenda fino all’estremo, proprio come ha fatto il Maestro. Ciò pone la vita discepolare in un processo dinamico che ha un inizio e che non ha mai fine. È un’esperienza che può soltanto crescere, perché ha come modello e sorgente l’Amore del Padre e del Figlio.

Qui si inserisce il Ministero petrino di ogni tempo. Testimoniarci e ricordarci che noi siamo stati amati di un amore più grande; la dottrina, sempre antica e sempre nuova, l’Evangelo di Gesù – che è Gesù –, il Figlio amato, nel quale siamo figli amati. Esortarci a rimanere in questo amore. Il Ministero petrino porta questo timbro: mantenere vivo il processo dinamico dell’amore, il processo dinamico dell’unità, della comunione, del rimanere legati alla vite come lo è il tralcio perché si contini a portare il frutto dell’amore, il frutto dell’unità nella diversità, il frutto della comunione.  Perché la fraternità discepolare di Gesù continui a produrre e a condividere i grappoli fecondi dell’Amore con quanti con loro camminano in questo nostro mondo arso e affamato di unità, di comunione e, in definitiva, bisognoso d’amore. Dell’Amore di Dio, delle parole e dei segni dell’Amore smodato di Dio per ogni sua creatura, per ogni sua figlia e figlio. Perché solo l’amore porta il frutto dell’unità e della comunione. Solo l’amore vince l’odio. Solo l’amore semina la pace. Da che mondo è mondo, l’odio e l’egoismo producono divisione, violenza, guerra e morte.

La finalità della narrazione che il Verbo eterno fattosi carne ci ha fatto del Volto del Padre è di rendere partecipi della loro gioia quanti si fanno suoi discepoli, perché la gioia diventi sempre più completa in essi. Perché prendano parte sempre più alla gioia che è in Dio, alla gioia trinitaria. Ieri, ricordando il Concilio di Nicea celebrato proprio 1700 anni fa, Mons. Conigliaro ci ricordava la pericoresi trinitaria, dal greco “danza circolare”, la gioiosa danza trinitaria, la festa che è Dio e in Dio, il ‘ballo’ delle tre Persone divine, il Padre, il Figlio, lo Spirto, che si amano e si accolgono nell’estasi dell’essere Uno.

«Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (15,11). Come non ricordare – non “ricondurre al cuore” – che nei discorsi di addio, Gesù lascia ai discepoli i doni della sua pace (cfr 14,27; 16,33) e della sua gioia che nessuno potrà mai trafugare (cfr 16,22), a patto che essi rimangano attaccati, uniti a lui? I doni della pace e della gioia corrispondono, il primo, al saluto ebraico shālôm, e il secondo, a quello greco chaîre. Entrambi segneranno la realtà gioiosa del giorno di Pasqua (cfr 20,19-26): “Pace a voi. E i discepoli gioirono a vedere il Signore”.

C’è una interconnessione tra il rimanere nell’amore, fare la volontà del Padre e gioire. La gioia è il risultato finale, escatologico di una esistenza vissuta tutta nel segno del compimento della volontà salvifica di Dio. Nel discepolo la misura della gioia è la misura dell’amore, del suo aderire e conoscere intimamente il Padre attraverso il Figlio. E in lui la gioia potrà dirsi completa e perfetta, come la gioia di Cristo, quando avrà raggiunto la misura dell’amore del Crocifisso risorto. Il segno distintivo dei veri discepoli di Gesù è il comandamento nuovo, il comandamento dell’amore: «Che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (15,12-13).

La forza dell’amore di Dio, in Cristo. La forza dei legami, della comunione, dell’unità.  Il dono messianico della pace. Queste sono le prime parole del Papa figlio di Agostino. Papa Leone XIV domenica scorsa, durante l’Eucaristia per l’inizio del ministero petrino, facendo memoria dei giorni del conclave, dava voce alle attese dei Cardinali – come di tutto il popolo di Dio – di un «nuovo successore di Pietro, il Vescovo di Roma, un pastore capace di custodire il ricco patrimonio della fede cristiana e, al contempo, di gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi» (Omelia, 18 maggio 2025). E presentandosi come nuovo vescovo di Roma, come successore di Pietro, ha detto «vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia, camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia».

Oggi l’amata Chiesa palermitana si è riunita nella sua Cattedrale per pregare per Papa Leone XIV, perché il Signore sostenga e porti a compimento il suo ministero di successore dell’Apostolo Pietro, sia tra noi un fratello servo della nostra fede e della nostra gioia, camminando con noi sulla via dell’Amore di Dio, che vuole tutti uniti in un’unica famiglia, nella Casa comune stretta nell’abbraccio e nella danza di pace.

Lasciamo risuonare ancora tra noi – porzione eletta del gregge del Signore che è in Palermo – le parole di Papa Leone XIV, facciamo nostro il mandato del nuovo successore di Pietro: «In questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri. E noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità. Noi vogliamo dire al mondo, con umiltà e con gioia: guardate a Cristo! Avvicinatevi a Lui! Accogliete la sua Parola che illumina e consola! Ascoltate la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia: nell’unico Cristo noi siamo uno. E questa è la strada da fare insieme, tra di noi ma anche con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per costruire un mondo nuovo in cui regni la pace».

Il Signore Gesù Cristo lo custodisca, lo Spirito lo sospinga e lo rafforzi, il Padre lo invii con gioiosa parresia perché continui ancora nella Chiesa e nel mondo la corsa dell’Evangelo. Da Palermo, con le parole di Agostino, gli auguriamo: «Non ti rattristare, Apostolo, rispondi una volta, rispondi di nuovo, rispondi una terza volta. Tre volte vinca la confessione nell’amore, perché tre volte nel timore fu vinta la presunzione. Bisogna sciogliere tre volte quello che tre volte è stato legato. Sciogli per amore quello che avevi legato per timore. Ma infine il Signore, una prima, una seconda e una terza volta, affidò le sue pecore a Pietro» (Discorso, 295).