Dall’omelia pronunciata nella chiesa del cimitero di Santa Maria dei Rotoli:
«In questo giorno che dedichiamo alla commemorazione dei nostri fedeli defunti, venire qui significa anche avere l’opportunità di stringermi accanto a ciascuna e a ciascuno di voi; avvertite la prossimità del Vescovo in questo giorno che vede il vostro cuore ricolmato della memoria di quanti ci precedono nel Regno della Pace. Tutto oggi deve dire solidarietà, comunione, addirittura “comunione eterna”: comunione tra noi qui in terra ma comunione nel cielo, soprattutto in attesa della comunione eterna. Quanto è bella la nostra fede, quanto grato deve essere il nostro cuore perché Dio ha rivelato il suo volto in Gesù. Nella Prima lettura, quel grido “io lo so che il mio redentore è vivo”, quel grido che si trova ancora nell’Antico Testamento, noi sappiamo che quel grido è diventato certezza e speranza: perché Gesù è quel redentore. “Tu non lascerai che il tuo servo veda la corruzione del sepolcro”: è il cuore della nostra fede che ci è stata donata anche dai nostri cari che oggi veniamo qui a trovare, in questo luogo, in quella che noi definiamo “una città nella città” che ci ricorda che noi abbiamo una comune chiamata, quella di prendere parte alla città eterna dove non ci sarà più il lutto, dove non ci saranno più lacrime, sofferenza, ingiustizia. Per questo noi dobbiamo custodire i cimiteri, per questo noi vogliamo che le nostre città abbiano cura particolare dei cimiteri dove noi deponiamo le spoglie mortali dei nostri cari, perché venendo qui, in questo luogo, noi possiamo già pregustare quella comunione a cui siamo stati chiamati in virtù del redentore che ha vinto la morte.
E’ bello che dopo aver celebrato ieri la solennità di tutti Santi, oggi portiamo nel cuore il profumo della santità di vita non solo dei Santi che noi veneriamo perché sono stati riconosciuti dalla Chiesa ma quei santi che vivono ordinariamente nella consapevolezza di essere figli amati da Dio (quelli che papa Francesco definisce “i santi della porta accanto”, i santi feriali) e che vivono proprio perché hanno fede in Dio, con quel volto che Gesù ci ha rivelato; “santi feriali”, a cominciare dai nostri cari che ci hanno testimoniato che l’amore di Dio e la fede in Lui ha un riverbero nella concretezza della vita che sceglie il bene, che sceglie di non “autocentrarsi”, che sceglie di assomigliare alla vita di Gesù; i Santi riconosciuti dalla Chiesa e i santi feriali sono quelli che ci hanno testimoniato una convinzione, quella di “perdere la propria vita per trovarla”. Noi oggi siamo qui per questo motivo, perché vogliamo che tutti, anche nella condizione umana di fragilità, possano solo ed esclusivamente raggiunti dall’amore di Dio. Nella vita di noi cristiani non può venire meno questa certezza, quella di essere amati da Dio per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato in virtù della Pasqua di Gesù, della sua morte e resurrezione. Noi cristiani non possiamo non essere animati dallo spirito, dall’energia dell’amore di Dio, perché è l’amore di Dio che ha vinto il sepolcro del Gòlgota. […] Solo l’amore redime, solo l’amore salva, solo l’amore vince la morte. Noi non dobbiamo avere paura della morte: certo, essa sopraggiunge con il suo bottino di separazione ma non dobbiamo avere paura della morte, semmai dobbiamo avere il timore di come viviamo la vita, dobbiamo avere il timore di non viverla bene, di non viverla secondo la logica di Dio, quella logica che ha vinto la morte; anzi, siccome restiamo sempre umani, fragili seppur fecondati dall’amore di Dio, io vorrei che oggi fosse questa la preghiera che sale verso i nostri defunti, quella di un consolidamento della nostra fede.
Condivido questa preghiera mentre facciamo memoria anche del Beato Pino Puglisi nel suo trentesimo di trapasso da questa vita a causa del volere umano, di cuori induriti che hanno pensato di essere salvatori di sé stessi, di salvarsi accumulando potere, servendo il dio Mammona, con l’illusione che Mammona, il danaro, ci possa dare vita e la vita eterna; ogni ricerca di potere è un atto mafioso, ovunque, anche dentro la Chiesa. Ricordiamo allora Pino Puglisi e ricordiamoci qual è la coscienza che noi abbiamo quando celebriamo la memoria liturgica di questo Martire ucciso dalla mafia qui, nella nostra città, trent’anni fa: questa è la logica che Gesù ci consegna e che ci fa capire come lui ha vissuto, Gesù, è la sua carta d’identità, quella di chi usa la metafora del chicco di grano davanti ai pagani che lo cercano: “Se il chicco di grano caduto a terra non muore, non può portare frutto”. La fede in Gesù oggi ci fa stringere attorno ai corpi dei nostri cari che noi custodiamo nella “città custodita nella città”, una città che deve sempre assomigliare a un giardino, una città dove deve essere visibile la massima trasparenza, cosa che non sempre è accaduta (ci ricordiamo cosa Palermo ha dovuto sopportare su questo tema, la mancata, degna sepoltura dei nostri cari); i cimiteri devono ricordarci la Gerusalemme nuova, dove non ci saranno più lutto e lacrime, lì dove ci sarà la comunione eterna. Ecco perché noi i corpi li custodiamo in vita e in morte, per noi ogni corpo è un sacrario che non va mai violato, qualsiasi nome porti, qualsiasi colore della pelle abbia; il corpo è tempio della presenza di Dio e ogni persona ha il diritto di essere riconosciuta, rispettata, semmai curata, mai predata sia in vita che in morte. Questo è il senso di questo nostro convenire illuminato dalla Parola del Signore contenuta nelle pagine della Scrittura: la potenza della Pasqua che si attiva nella nostra vita, non la paura della morte, la vita eterna noi la possediamo già con il Battesimo e la resurrezione di Gesù è attiva nella nostra morte, ecco perché custodiamo anche i corpi.
Oggi siamo qui perché vogliamo chiedere al Signore “restiamo umani”, dal momento che non sempre accettiamo la logica del chicco di grano, il non pensare a noi stessi, la consapevolezza di essere emanazione per tutti dell’amore di Dio che ama i suoi figli; noi vogliamo scegliere di amare, il bene, la giustizia, la cura reciproca, il rispetto; vogliamo rinunziare a ogni idolatria e forma di potere e ricerca sfrenata del denaro, cose che atrofizzano il nostro cuore. Siamo qui anche per offrire a Dio il nostro grazie per tutto l’amore che hanno espresso i nostri defunti, chiedendogli misericordia per quando non sono stati capaci di esprimere amore. Noi oggi qui professiamo l’amore redentivo di Dio».