Nella Memoria liturgica del Beato Martire Giuseppe Puglisi si allega l’omelia che l’Arcivescovo Mons. Corrado Lorefice pronunzierà questa sera nella chiesa di San Gaetano a Brancaccio. La data del 21 ottobre è stata scelta dalla Chiesa perché è quella del battesimo di don Giuseppe Puglisi (nel quartiere palermitano della Kalsa, nella chiesa di Santa Maria della Pietà).
OMELIA
In tutti i Vicariati dell’Arcidiocesi oggi si celebra la memoria del Beato Pino Puglisi. A me l’onore e l’onere, oltre che la profonda gioia, di celebrarla qui a Brancaccio, nella sua comunità parrocchiale e nel quartiere dove è nato ed morto, ucciso per volere della perfida struttura di peccato che è la mafia. E da qui – da questo luogo di testimonianza martiriale – ci è più facile attingere alla fede di don Pino a partire delle letture bibliche previste per la memoria liturgica, e specialmente dalla pagina evangelica.
Gesù, a chi esprime il desiderio di vederlo, – «Vogliamo vedere Gesù» (Gv 12,21) – annuncia la sua morte. E anche stavolta dà una risposta che spiazza e obbliga l’interlocutore a guadagnare un’altra prospettiva, a ricollocarsi altrove, oltre le proprie attese, nell’oltre della fede. Si tratta di essere dove è lui. «Dove sono io, là sarà anche il mio servo» (Gv 12,26). Non si tratta di un mero vedere Gesù, ma di rispondere alla sua chiamata a seguirlo, fino alla sua ora. Essere esistenzialmente là dove lui è stato.
Il Beato Martire Pino Puglisi segna il passo sulla nostra collocazione – della comunità cristiana – e ci indica il luogo dove e come il Signore Gesù, Cristo, vuole: essere dove lui ha scelto di collocarsi. Solo allora potremo dire di aver visto il Signore. D’altra parte il Risorto dà appuntamento ai suoi nella Galilea delle genti. Lì dove lui ha cominciato, disposti a scendere con lui nella terra di cui sono impastati gli uomini: «Allora Gesù disse loro: “Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno”» (Mt 28,10). Come Pino Puglisi che è sceso nella terra di Godrano e di Palermo a Brancaccio. Lì dove Dio incontra e si fa incontrare.
Non è un ordinario contesto cultuale il luogo dove Gesù dà appuntamento a suoi, come con i Greci saliti al Tempio per la festa di Pasqua. Gesù riorienta il desiderio umano. Ricolloca altrove. Chiede di assumere l’umano. Questo è il luogo dove si rende culto a Dio, al Dio che Egli ci narra con la sua donazione totale, lasciandosi ‘in-terrare’ per amore. Con queste parole Gesù pone tutta la sua vita sotto il segno dell’amore. Di «un amore più grande» (Gv 15,13), che ama fino al compimento! Fino a morire.
La richiesta dei Greci, annunzio del desiderio degli uomini e delle donne di ogni tempo, segna anche la determinazione di Gesù a disporre della propria vita, come il chicco di grano che per dare frutto deve marcire: «Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,27). Ma il desiderio dei Greci fa anche detonare il travaglio di Gesù. Giovanni colloca qui la memoria del gemito del Getsemani, dell’ultima e più angosciante tentazione di Gesù: «Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora?» (Gv 12,27). Ora Gesù, ispirato dalla feconda sorte del chicco di grano, elabora la sua morte come decisivo compimento della manifestazione dell’amore di Dio per gli uomini, per il mondo ed esprime la sua libera adesione: «Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!» (Gv 12,27).
Pino Puglisi ricorda alle nostre comunità cristiane che Gesù lo si vede seguendolo, lo si conosce standogli dietro, ricalcando il suo solco, rimanendo con lui nella traccia della terra dove la vita ci ha seminati e dove la Chiesa ci ha inviati: «Se uno mi vuole servire, mi segua» (Gv 12,26). «Me l’aspettavo!», sono le ultime parole di don Pino.
La memoria del martirio del presbitero palermitano ci chiede di essere – nelle nostre comunità e nel territorio umano che abitiamo – dietro a Gesù facendo nostra la logica del chicco di grano. È la logica che Gesù semina in noi, che ci fa essere con lui e per lui disposti a morire a noi stessi. A dare anche noi la vita perché altri abbiano vita.
L’amore traccia cammini di liberazione e di riscatto. L’amore ci cambia la vita e cambia la vita di chi ci sta accanto ed è affidato alla nostra responsabilità. Le comunità cristiane che vivono di Vangelo e di Eucaristia condividono con tutti la responsabilità della città umana. Non possono sopportare che in essa cresca la zizzania dell’ingiustizia e della prevaricazione, soprattutto quando si organizza e si struttura nelle organizzazioni malavitose e mafiose. Fanno loro le sofferenze degli uomini e delle donne, le assumono, le condividono con passione e fino alla passione. Non sopportano la cultura della morte e per questo sono capaci di andare incontro alla morte, incontro al martirio. «Il discepolo di Cristo – come affermava don Pino – è un testimone. La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio. Il passo è breve, anzi è proprio il martirio che dà valore alla testimonianza».
Il martirio di Puglisi riconsegna alla Chiesa di Palermo, e soprattutto ai suoi fratelli presbiteri e diaconi, lo sguardo di Gesù che contempla un seme di grano caduto nella terra disposto a morire. Siamo chiamati ad anche noi a guadagnare, come Gesù e come i martiri della fede, uno sguardo simbolico, la forza dei segni («Le nostre iniziative devono essere un segno», amava ripetere 3P). Siamo invitati a osare l’audacia della fede e della testimonianza cristiana che ci chiede di disfarci di false sicurezze umane per essere ricchi solamente dell’Evangelo che ci è stato donato.
Il seme, come la croce, fa deflagrare vita in abbondanza. Il seme e la croce sono sospinti dall’amore. L’amore per tutti e in particolare per i piccoli, i poveri e gli emarginati. L’amore non sopporta l’odio. Assume la sofferenza per riscattare dalla sofferenza. Assume la morte per riscattare dalla morte. La sofferenza che conoscono le nostre case sempre più povere e divise per mancanza di lavoro, di pane quotidiano e di amore, e confuse da un vuoto culturale voluto e diffuso dai potentati economici ed ideologici e dalla manipolazione mediatica; la morte che viene seminata nei nostri quartieri con lo spaccio di droghe – sempre più devastanti, ritornate ad essere fonte di lucro per le organizzazioni mafiose – e con la violenza che infesta sempre più i ritrovi dei nostri giovani.
Il martirio di Puglisi riconsegna alla Città intera – la Casa comune che tutti ci ospita –, a tutti i cittadini, a chi la governa e alle sue Istituzioni, la chiamata al servizio. La città va amata, secondo la logica del chicco di grano. Se non la si ama non cresce, non si rigenera nel bene, nella giustizia, nella pace, nella bellezza. Anzi si depaupera, si degrada, si abbrutisce, si contribuisce a sporcarla in tutti i sensi, a violentarla, a creare marginalità esistenziale e urbana. La si consegna a mani violente e predatorie, al caos. Si indeboliscono le Istituzioni e si sottopongono al letale cancro della perdita del fine del bene comune, dei favoritismi, dei privilegi e delle connivenze.
Chiediamo al Signore che la Chiesa palermitana e la nostra Città conoscano una nuova stagione di uomini e di donne che si possano incontrare a partire dallo sguardo del seme di grano che cade a terra, mettendo in campo l’intelligenza del cuore e lo spirito cristiano che animò don Pino Puglisi. Con passione senza temere finanche la ‘passione’.