“Quando Salvatore Grigoli parla dello sguardo offerto da don Puglisi un attimo prima di essere ucciso, e soprattutto quando riferisce le parole pronunciate dal parroco di Brancaccio, “me l’aspettavo”, lascia intendere chiaramente che don Pino era consapevole di ciò che lo attendeva. In Pino Puglisi noi cogliamo la consapevolezza di un uomo che sa perfettamente come terminerà la propria vita terrena. Insomma, Puglisi era consapevole e chi sta per ucciderlo coglie questa consapevolezza”.
Lo ha detto l’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice rispondendo alle domande della giornalista dell’AdnKronos Elvira Terranova che ha condotto l’incontro su “Trent’anni senza padre Puglisi: la svolta tragica della Chiesa siciliana” nella giornata inaugurale della XIV edizione della rassegna dell’editoria indipendente “Una Marina di libri” in corso di svolgimento a Villa Filippina a Palermo.
“E’ riduttivo parlare di Pino Puglisi come prete antimafia anche se lui ha fatto antimafia mutuando dal Vangelo la sua visione della vita. Puglisi rimane a Brancaccio nemmeno tre anni, non si capirebbe questo sacerdote senza cogliere l’intero arco della sua vita, senza considerare, ad esempio, la sua esperienza di parroco a Godrano, nel 1970, in un’epoca in cui il paese a quaranta chilometri da Palermo era investito da faide e quasi nulla era offerto ai ragazzi: Puglisi si fa carico dei giovani, li porta a Palermo, li fa studiare, comprende che anche lì c’è da una sfida culturale e sociale. Puglisi fa semplicemente il prete, il parrino: è un uomo che scopre, grazie anche al Concilio Vaticano II, che la storia è l’altro luogo dove i cristiani devono saper cogliere l’istanza della presenza di Dio e ciò che Dio chiede. In sintesi, la storia come luogo teologico. Pino Puglisi non pensa il suo ministero se non collocandolo dentro il contesto antropologico e sociale dove lui vive; per Pino Puglisi il Vangelo non è solo una dottrina ma una visione della storia riscattata dal male, questa è l’istanza evangelica offerta da Puglisi e quando l’istanza evangelica si fa così aderente al Vangelo, allora si fa antimafia. Don Pino Puglisi, nella sua esperienza di parroco di Brancaccio così aderente al Vangelo, assume coloro che gli sono affidati nella loro dimensione sociale: ecco perché gli interessano i magazzini di via Hazon, ecco perché gli interessa l’assenza di una scuola media nel quartiere, ecco perché gli interessa realizzare per i ragazzi un centro dove ritrovarsi, ecco perché gli interessa che la Parrocchia non sia il luogo dove arriva il signorotto con in mano un milione di lire per la festa di San Gaetano”
“La mafia è la più grande illusione di felicità, per Palermo e per la nostra terra; la mafia illude perché può fare leva sulla mancanza di risposte che dovrebbero dare le istituzioni, parlo delle cose essenziali della città umana: il lavoro, la casa, la cultura. Ecco perché la mafia diventa un’industria di falsa felicità. Il fiume di sangue versato a Palermo, il sangue dei martiri della fede e della giustizia, ha certamente dato una nuova consapevolezza alla città però capisco che – per citare il filosofo Zygmunt Baumann – c’è ancora una sorta di liquidità, c’è una zona grigia magmatica dove convivono diversi interessi e anche paure, spesso frutto della crisi di assunzione di responsabilità, quindi di scelte. L’antimafia si misura dalle cose concrete, non dalle maschere. Palermo è una città che ci viene affidata, Pino Puglisi e tanti altri hanno capito una cosa, che c’è una responsabilità che ci riguarda come persone: se io abito la città, ho la responsabilità della città e mi viene richiesta la stessa responsabilità che offro per la realizzazione del mio io. Personalmente, ogni giorno ricordo a me stesso che in questa città c’è stato qualcuno che ha dato la propria vita affinché la città degli uomini fosse veramente terra nuova”.